Art Director | Emilio Tini
Photographer | Francesco Andriolo
Text | Icarius De Menezes

 

Enrico Bartolini, consacrato con la sua prima Stella Michelin a soli 29 anni, seguita, quattro anni dopo, dalla seconda Stella. Il toscano lodato dai critici gastronomici come uno tra i giovani più talentuosi d’Italia.

Nei suoi ambiziosi programmi anche quello di aprire una scuola del gusto a Milano, zona Brera per formare una nuova generazione di chef.

Con i suoi quattro ristoranti: Enrico Bartolini presso il MUDEC a Milano, Casual Ristorante a Bergamo, La Trattoria di Enrico Bartolini a Castiglione della Pescaia in Toscana, il Ristorante Glam a Venezia e una quinta apertura a Bologna prevista per ottobre, è riuscito a conquistare un pubblico cosmopolita dai palati raffinati.

I: Partendo dal presupposto che sei uno chef che sta costruendo e diffondendo nel mondo il valore del Made in Italy nel tuo settore, quale può essere un messaggio di autostima, nonostante la difficoltà di qualsiasi imprenditore in questo momento storico?

E: Il primo punto è che si faccia qualcosa con entusiasmo. Ci sono dei valori che nel mio caso partono dall’Italia. Sono libero di usare ingredienti da tutto il mondo, ma di fatto lo faccio in Italia.

I: Il tuo DNA è Italiano e tu in qualche modo porti questo concetto nei piatti che nascono da questa esperienza territoriale. Come spieghi questo tuo filo conduttore?

E: Io sono toscano. Il piacere di mangiare non è solo italiano. Un bambino che comincia ad approcciarsi alla vita, tra le prime gioie che può provare c’è  anche quella di ritrovarsi in qualche ingrediente che lo gratifica, tipo lo zucchero. Già mettere in bocca delle cose è un inizio di esperienza legata alla gastronomia. Io da piccolo ho desiderato tanto alcune cose da mangiare, che mi erano vietate, tipo il caramello ai pinoli, i bomboloni alla crema, o le lasagne alla bolognese. Mi ricordo quando giocavo a calcio, dopo la partita andavo nello spogliatoio e sentivo nel naso il profumo di lasagne. Ma non è che lo sentissi, me lo immaginavo, come ad averlo lì, in realtà non c’erano. Quando arrivavo a casa, mia mamma, che è una grande mamma, cucinava talmente male che le lasagne erano un sogno troppo lontano, e se non andavamo al ristorante non appagavo quella sensazione.

Questo forte desiderio mi ha fatto crescere la voglia di voler stare sempre di più nei ristoranti. Per disperazione ho iniziato a voler cucinare delle cose, un po’ la disgrazia di questa meravigliosa mamma che non sapeva cucinare. Ho dei ricordi in cucina già da quando avevo tre anni.

I: Da bambino ricercavi il cibo anche nei tuoi giochi?

E: Cercavo di tutto. Il calcio, la piscina, il pianoforte, il pattinaggio, la pesca, l’equitazione e anche la cucina. Mi piaceva tutto. Un giorno ho preso tre pali e li ho piantati nell’orto. Alla domanda di mio papà su cosa stessi facendo risposi che stavo costruendo il recinto per il cavallo. Non avevo un cavallo, “ma prima o poi arriva” dissi. Lo desideravo.

I: Sembri una persona molto tranquilla, molto sulle tue.

E: Non sono timido, sono educato. Ho un buon equilibrio, non sono scapestrato.

I: Per chi non ha mai sentito parlare di te, da dove parti?

E: Spero di aver appena iniziato. È da un anno che abbiamo cambiato il modo di vedere le cose. In Italia l’idea del cuoco è quella di vederlo chiuso in cucina, tra il depresso, lo scapestrato, il maleducato e il bestemmiatore, a cui piacciono le donne a pagamento, le droghe, l’alcol. Francamente è quasi tutto il contrario.

Secondo me sono prima di tutto importanti gli stimoli che si ricevono. Chi ti sta vicino e il modo in cui lo ascolti e riesci a prenderne qualcosa di buono. Sono stato affiancato da persone che ho imparato ad ascoltare. Alcune persone quasi me le sono scelte, vedendo che hanno un’esperienza, una sensibilità. Alcune volte magari mi dicevano delle cose che potevano ferirmi ma che erano utili per la costruzione della mia personalità, la mia filosofia e il mio team. Questi suggerimenti mi hanno dato degli stimoli importanti facendomi gustare in qualche modo la gioia per alcuni aspetti della vita.

In Italia quando fai una seconda cosa, ti accusano di trascurare la prima, oppure di essere già dozzinale sulla seconda. Un collega inglese, Gordon Ramsay, mi ha detto “ho iniziato a sentirmi figo e a sentirmelo dire dopo l’ottavo ristorante”.

I: Nonostante la tua impronta italiana, i sapori meravigliosi dei tuoi piatti portano in varie parti del mondo. Che importanza hanno avuto le culture culinarie degli altri paesi nel tuo stile?

E: Sono certo che avendo viaggiato nell’Asia, il Middle East, l’America, negli anni precedenti, ho visto modi diversi di cucinare, di pensare e di approcciarsi alla ristorazione. Non ho mai copiato niente dai modelli ma ne ho sempre preso spunto. Ci sono dei piatti in Cina che non mi sentirei di rifare qua, ma il modo di approcciarsi a un oggetto mi fa riflettere e penso che con i nostri sapori quel metodo di costruzione del piatto sia molto utile. E’ importante viaggiare, aprire la mente, avere un palato che riesce ad apprezzare i sapori, la capacità di ascolto, di guardare, di commentare senza giudicare. Viaggiando apri la mente, già solo salire su un aereo, avere un’interazione con uno steward o una hostess, un pasto a bordo, è un’esperienza che devo fare per capire, ad esempio, che un cliente che arriva da Hong Kong ha il fuso orario, ha mangiato in un certo modo in aereo, ha fatto una doccia al volo e arriva a cena. È uno stato d’animo che devo provare in prima persona per poi rivolgermi a lui con le ‘giuste parole’ e proposte.

Viaggiando si dà molto più valore alle cose vere e forti che abbiamo qua. Come la varietà degli ingredienti che ci sono in Italia.

Siamo il primo paese desiderato al mondo come destinazione turistica, ma il quinto per frequentazione. Il mio compito per questo tipo di etica italiana è quello di lavorare a favore di questo desiderio, aumentandolo al punto tale da far sì che il nostro paese possa essere più frequentato, dando stimoli ai colleghi che lavorano nell’agricoltura, nell’hotellerie, che abbiano gli strumenti giusti per sostenere il nostro visitatore.

I: Quando abbiamo scattato in cucina con il tuo team, hai dato immediatamente un’impressione di chi ha un grande controllo della situazione.

E: Io so cosa mi aspetto ma non so come appaio. Il mio obiettivo è quello di mettere le persone in condizione di volersi applicare ed essere fiere di essere qua, che il nostro metodo gli dia la gratificazione giusta. Non attraverso lo stipendio o le ore di lavoro ma tramite l’esperienza che li metta in condizione di voler lavorare per gli ospiti, non per me.

Non amo i momenti di nervosismo, di chiasso, di sporcizia. Se qualcuno alza la voce è più probabile che lo allontani piuttosto che alzi la voce anche io.

I: Hai avuto situazioni folli in cucina? Avevi un temperamento diverso in passato?

E: Di cose negative del passato me ne ricordo un po’. A partire dai piatti. Un sabato sera prima del servizio ho preso tutti i piatti che stavano nel ristorante e li ho rotti, 200 piatti. Poi ho imparato piano piano a non lanciare oggetti. Ci sono riuscito avendo intorno a me una situazione di sicurezza e adesso quello stesso atteggiamento lo giudico negativamente.

Mi dicevano che un cuoco diventa maturo a 40 anni. Adesso ne ho 37. Riconosco che 8 anni fa mi sembrava che non mancasse la maturità ma i mezzi. Invece sono i mezzi che arrivano attraverso una crescita e una maturità. Tra 3 anni spero di essere maturo. Se hai continuamente delle mancate risposte alle tue domande ti agiti, perdi l’orientamento, la reazione può essere anche nervosa, aggressiva. Se hai di fianco un team che trasmette bene le difficoltà, gestendo l’ospite, si risolve.

I: Hai provato delle emozioni particolari rispetto a qualche piatto o con qualche ingrediente?

E: Si viaggia a sensazioni. Ci sono dei dati che si respirano con la pelle, il piacere di mangiare un piatto, il colore, l’evoluzione, l’esperienza. Piatti adatti a tutti non ne facciamo. In ogni piatto c’è un po’ di personalità: a me magari sconvolge dal piacere mentre invece qualcuno si spaventa.

I: Cosa provi quando vedi le tue opere replicate ad ogni servizio dai tuoi collaboratori?

E: Non c’è cosa che mi renda più felice. Il lavoro è di squadra. Io ci metto il timbro finale. Se c’è un’ imperfezione il piatto non esce.

I: Quanto tempo ci impieghi a capire se qualcuno è adatto a stare con te in cucina?

E: Da un secondo a una settimana. Sono un po’ presuntuoso, però ci sono tre o quattro ricette dove si vede se qualcuno ha la mano. Se gli manca l’ informazione gliela do. Tra quelli che sono meno allenati a stare in cucina capita che ci sia qualcuno che ha delle qualità straordinarie che non ha espresso. L’ossobuco, pur essendo facilissimo, mette in crisi molti.

I: Consideri la cucina un’arte?

E: Si fa spesso il paragone cucina – arte. Secondo me è una cosa diversa. Se si dice che la cucina assomiglia all’arte, si dà per scontato che valga di meno. Per me non è così, la cucina vale molto di più. In più vedo artisti che vendono le opere a prezzi esagerati, che francamente mettono un quarto dell’impegno e della qualità che mettiamo noi in un piatto, e lo replichiamo ogni giorno. Io non mi sento schiavo del lavoro, anzi lo onoro quotidianamente. Sono contento di lavorare pranzo e cena, di trasmettere delle emozioni, che possono essere paragonate ad altri settori dove l’emozione è forte. Però  la cucina non è arte, la cucina è cucina. A me emoziona più dell’arte.

I: C’è stato qualche personaggio che hai avuto nei tuoi ristoranti che ti ha reso particolarmente fiero?

E: Per me una persona che ha un buon gusto, che si veste bene, attira la mia attenzione. Guardo molto come ci si approccia a tavola, al piatto e alla degustazione.

Un personaggio divertente è stato il cantante Antonello Venditti, che parla tanto come i romani che cercano la festa ogni secondo, fuma come un turco, ma ha un palato pazzesco.

Invece una volta è entrata Barbara D’Urso, non mi vergogno a dire che veder entrare tutta quest’arroganza in una volta sola non mi era mai successo.

Uno che mi ha condizionato tanto è un famoso enologo, Donato Lanati. Siamo diventati molto amici. La prima volta che è venuto da me ero molto in soggezione. Era affascinato nel vedere un giovanotto, anche un po’ preoccupato sul futuro, che si dava da fare in un posto sperduto in mezzo alle colline. Mi ha preso a cuore e mi ha dato un sacco di suggerimenti. Adesso ci sfottiamo.

I: A cosa devi il tuo successo?

E: Alla fiducia verso le persone, che non siamo abituati a dare. Io credo che le persone che ricevono una buona fiducia e hanno delle buone qualità, se hanno il desiderio di esprimersi, danno grandi risultati.

I: Quali sono i tuoi prossimi progetti?

E: La prossima apertura a Bologna, all’interno di Fabbrica Italiana Contadina. Sono 8 ettari di museo della biodiversità italiana, dove trovi gli allevatori di vari animali, di frutta e verdura, di vigna, di ulivi. C’è un percorso che si può fare in bici pieno di botteghe dove si possono comprare e stuzzicare i prodotti. All’interno abbiamo un ristorante, apriremo ad Ottobre.

Inoltre, Brera, a Milano, aprirò quella che sarà la mia scuola. Un ristorante dove le persone che lavorano si preparano ai sapori di ossobuco e dintorni, in una visione molto moderna. Piatti fatti da due o tre ingredienti, cucinati bene, con personalità.

Ma sono solo all’inizio.

Gambero mezzo fritto

Si friggono le zampette del gambero, lasciando il corpo crudo. È un modo per estrarre la croccantezza senza aggiungere altri ingredienti. Si accompagna con una salsa di tamarindo affumicato.

Melanzana ricostruita

Melanzana arrostita completamente ridotta in crema e ricostruita nella sua forma originale, con un biscotto al cacao e una foglia di origano.

Bottoni di olio e lime con salsa caciucco e polpo arrosto

Raviolo con all’interno un’emulsione di olio e lime con polpo alla brace, accompagnati da una salsa cacciucco.

Alici in incontro tra sour e carpione

Ispirazione da una ricetta veneziana. Alici marinate accompagnate da cipollotto in agrodolce, insalata di alghe, uva, salsa di cavolo rosso che per ossidazione diventa blu.

Patata soffice, uovo e uova di salmone

Spuma di patate all’olio con capperi di Pantelleria, uova di salmone selvaggio, limone, prezzemolo, zabaione.

Cappero!

Cappero ricostruito con un’infusione di capperi e lime, poggiato su un cremoso di nocciole e salsa all’arancia.

Bon bon di frutto della passione

Pellicola fatta con succo di frutto della passione, racchiuso in una parte di cioccolato bianco e succo fresco del frutto.

 

Salva

Salva