Art Director and Photographer | Emilio Tini
Fashion Editor | Icarius De Menezes
Bello, per bene, dalla presenza jet-setter, Christian Pellizzari ha un percorso stilistico che può essere definito prima e dopo Giorgio Armani. Nel 2010 è stato scelto come new designer dal Sig. Armani e Vogue Italia per presentare la sua collezione al Teatro Armani a Milano creando automaticamente un upgrade al suo brand, esponendosi in Italia e nel mondo, è diventato uno dei nuovi volti della moda italiana, un imprenditore che inizia a lasciare un segno con il suo taglio sartoriale impeccabile. Christian Pellizzari ci racconta la sua storia:
“Sono nato a Castelfranco, in Veneto. Sono un italiano doc.
Questo per me è molto importante perché la maggior parte del mio lavoro viene fatto lì, nella sede logistica. Anche buona parte della creatività è nella zona di Castelfranco e dintorni. Mi sono reso conto ad un certo punto che dovevo controllare le cose e quindi ho cercato di avvicinare tutto a me il più possibile, così quasi quotidianamente posso andare a controllare e gestire.
Non so perché ho scelto di fare questo lavoro nel senso che, fin da quando ricordo, ho sempre voluto lavorare con i tessuti e i vestiti.
Avevo delle zie sarte e quindi per casa c’erano sempre tessuti intorno a me e ci giocavo molto, mi è sempre piaciuto ricercare il bello, ho sempre avuto un forte senso estetico.
Non è stato un percorso lineare. All’inizio volevo fare una scuola di moda, poi ho fatto ragioneria ma mi guardavo sempre intorno. In seguito sono venuto a Milano, sapevo di voler lavorare nel mondo della moda, ma non sapevo realmente cosa fare, se vestiti, gioielli o styling. Mi piaceva il bello, il settore della creatività.
Ho cominciato tramite un’amica di famiglia che lavorava con Marzotto per una piccola azienda che produceva tute da sci di lusso in cashmere. Stando a contatto con questo mondo ho capito che realmente mi piaceva, così , mentre lavoravo, ho cominciato a frequentare una scuola.
Non sono mai stato convinto di essere capace a fare questo mestiere, a volte mi piaceva, altre no.
Dopo un’esperienza in uno studio creativo a Treviso mi sono stancato e sono partito per Parigi, dove sono diventato consapevole di quello che sapevo fare perché ho avuto delle esperienze positive. Ero stanco di lavorare per gli altri e ho pensato di fare qualcosa di mio, così in un mese e mezzo ho presentato la mia prima collezione e da lì è cominciato tutto. Era il 2010.
È iniziato tutto in maniera incosciente, non avevo neanche uno showroom.
Avevo un’amica che aveva un press office a Parigi e mi ha dato la possibilità di presentare lì la mia collezione.
Ho contattato personalmente dei clienti e abbiamo venduto da subito.
È diventato tutto più serio quando Armani mi ha scelto per sfilare nel suo teatro. Pur essendo nato come un gioco ho capito che questo poteva essere il mio lavoro.
Armani ogni stagione sceglie uno stilista emergente. Insieme a Vogue Italia si comincia a fare una selezione che viene proposta ad Armani e il suo staff. Dopo qualche giorno vengo richiamato da Vogue. Ero stato scelto e mi hanno chiesto se fossi pronto per sfilare. Pur non essendo assolutamente pronto la mia risposta è stata “assolutamente si!”.
Tutto questo è stato nella primavera-estate 2014. Sempre con molta incoscienza sono andato avanti, abbiamo individuato degli altri showroom e tutto ha preso una piega migliore.
È stato un ottimo trampolino di lancio e gliene sono molto grato.
Sapevo che dal quel giorno, una volta iniziato, avrei dovuto sfilare sempre.
Prima di intraprendere questa strada, in molti mi dicevano che dovevo fare un business plan, organizzando le cose in un certo modo. Io invece ho fatto tutto in maniera molto inconsapevole e penso ci voglia un po’ d’incoscienza perché questo mestiere è sicuramente legato alla finanza, ma ha dei fattori talmente sociali, di gusto, di tendenze del momento che diventa difficile prevedere un business plan quando stai cominciando a lavorare.
Inizialmente mi sono fatto dare dei soldi da mio padre, non molti ma dovevo provarci. La mia fortuna è stata che abbiamo iniziato a vendere subito, così da autofinanziarci e quando ci è stato proposto di sfilare, pur essendo un costo molto elevato per il nostro fatturato, abbiamo deciso di buttarci, con il rischio di dover chiudere il marchio. Sapevo di avere vicino delle aziende competenti, dei grandi lavoratori. Alla fine ce l’abbiamo fatta.
In 15 giorni preparo tutta la collezione, il mio team sa che sono una persona last-minute. In questo periodo, tra una collezione e l’altra mi sposto spesso, vado in archivi e biblioteche, faccio ricerca. Poi mi ricordo che devo finire la collezione e mi riduco sempre agli ultimi giorni.
A livello imprenditoriale bisogna avere una motivazione incredibile per capire quali sono i punti sbagliati e come correggerli. Le difficoltà sono sempre dietro l’angolo, c’è sempre un imprevisto. Vedo tanti colleghi che iniziano e poi lasciano perdere.
Una cosa che ho capito in questi anni è che voglio rimanere indipendente, fuori dai giri, voglio continuare a fare solo quello che mi piace.
Per me è molto importante essere un outsider, ora sto gestendo la cosa istintivamente e come piace a me.
Voglio costruire qualcosa che a 50 anni ci sia ancora e che quindi questo sia il mio lavoro per la vita. Ho paura dei fenomeni, delle cose che tutti vogliono in un momento e dopo tre stagioni sono out, preferisco rimanere sempre nel mio, in sordina con i miei clienti.
Devo ancora dimostrare tanto, anche perché più aumenta il business e più aumentano le difficoltà. Nelle prime due stagioni soffrivo d’ansia perché pur disegnando la mia collezione, continuavo a fare consulenza per altre aziende, poi ho capito che dovevo fare fin dove potevo, senza farlo diventare una “malattia”. Bisogna lavorare seriamente ma senza impazzire, perché poi perdi il gusto e molli.
Sono una persona molto indipendente, ho notato che quando lavoravo per gli altri mi sono sempre fatto il mazzo. Invece mi dispiaccio nel vedere che , a volte, quando assumi qualcuno per uno stage la voglia viene meno. Tanti sono affascinati da questo mondo, ma non si rendono conto che c’è tanto lavoro da fare.
Per me è fondamentale lavorare in serenità e armonia, adesso il mio team è composto da dieci persone, metà uomini metà donne.
Preferisco le ragazze nella parte della produzione perché sono più precise, ordinate e meticolose, mentre nella parte creativa preferisco gli uomini.
Non concepisco le crisi isteriche e voglio un ambiente molto leggero, dove si possa lavorare con il sorriso. Cerco sempre di essere tranquillo e trasmettere serenità.
Quando facevo consulenza lavoravo con gente molto più grande di me e non venivo preso seriamente. È capitato diverse volte che me ne andassi dal posto di lavoro dicendo al proprietario che se lui si fidava di me, dovevano farlo anche gli altri. Anche oggi, tranne una ragazza, sono il più giovane del mio team.
Sono molto indipendente e convinto delle mie intuizioni. Spesso quando presento dei progetti alle mie modelliste e mi dicono che non è possibile realizzarli, la sera mi metto sul manichino, ci lavoro tutta la notte e il giorno dopo gli porto la dimostrazione di come si può fare e si deve fare quel prodotto.
Mi piace molto la parte del drappeggio del tessuto sul manichino. Penso che non ci sia niente di più bello di creare qualcosa con le proprie mani e questo si fa più nella donna. Mi mette in pace con me stesso.
Invece l’uomo mi interessa molto perché penso a quello che vorrei portare io, a cosa vedrei addosso ai miei amici.
Quando creo amo pensare a cose che vanno oltre, ma che siano comunque portabili. È facile fare il cool facendo cose strane, poi però le cose strane chi le indossa? Gli addetti ai lavori, i giornalisti. Io voglio fare delle cose che, pur essendo un po’ estreme, possano essere indossate da un ragazzo di provincia in qualsiasi parte del mondo.
L’anno scorso mi hanno informato che un avvocato di 70 anni ,molto importante, aveva comprato uno dei miei cappotti. Il fatto che un signore di quell’età, con un certo gusto, avesse acquistato un mio capo tra tanti altri mi ha reso molto felice.
Mi fa piacere pensare che una donna che abbia una certa disponibilità economica e può approcciare tutti i brand che vuole, si fissi su un mio capo. Infatti, mi capita spesso di essere chiamato con la richiesta di taglie su misura perché le clienti lo voglio a tutti i costi.
Questo è quello che mi gratifica di più e penso che sia la cosa più importante, fare in modo che quello che crei esca dai negozi, questo è fare moda.
Ho una mentalità molto commerciale. Mi rendo conto di ascoltare molto ma alla fine faccio quello che voglio in piena serenità.
Quando creo qualcosa non penso mai “vorrei che questo capo lo indossasse…” Vengo molto spesso contattato da blogger per avere miei capi, ma sto molto attento a chi darli.
Alcuni personaggi sono sicuramente fonte d’ispirazione perché partendo da zero hanno saputo creare delle grandi aziende, ma il problema sono poi tutte le ragazze che emulano questi personaggi e pensano che comprando due borse firmate e facendo due foto diventino delle fashion blogger, questo non è il mondo della moda.
Il mondo della moda è fatto di duro lavoro.”
Talent | Christian Pellizzari
Make up artist | Anna Maria Negri | WM Management
Hair Stylist | Gianluca Guaitoli | WM Management
Style Assistant | Dario Grillo e Eleonora Ramondetti
Production | Emilio Tini Studio